Andranno al voto i cittadini di 70 paesi, di cui solo 43 compiutamente democratici. Quasi 4 miliardi di persone, mentre venti di guerra sempre forti lasciano intravvedere gravi contraccolpi in campo economico-finanziario. L’Unione europea con i suoi 400 milioni di elettori rinnoverà il parlamento tra il 6 e il 9 giugno e sarà sfida tra i partiti tradizionali e la Destra, tra la “maggioranza Ursula” della volta scorsa impostasi col blocco di popolari, socialisti e liberali, incalzata ora da forze populiste, dai conservatori e dai laburisti. Dicotomia che si riproporrebbe nelle presidenziali Usa del 5 novembre, anche se la pagina buia di Capitol Hill e la posizione ambigua di Trump hanno indotto Colorado e Maine a ricorrere ai tribunali per estrometterlo da una gara in cui ancora risulterebbe vincente. Conosceremo entro questo mese i pronunciamenti della giustizia Usa, prendendo atto che nemmeno Biden è riuscito a catturare la simpatia del paese. Una teorica vittoria del primo renderebbe meno stretto il legame Europa-Usa, diminuirebbe l’impegno americano nei confronti di Kiev e gli sforzi diplomatici nello scontro mediorientale. Senza dimenticare che il protezionista Trump ha già dichiarato di voler applicare un 10 per cento di dazi su tutte le importazioni dall’estero. La Cina non sarà impegnata direttamente, ma siamo curiosi di vedere come verrà metabolizzato il voto di gennaio a Taiwan, visto che il presidente Xi Jiping aveva sottolineato come “inevitabile “la riunificazione dell’isola dall’animo indipendente alla Cina. Scontata a marzo la rielezione di Putin? Sì, ma sarà la percentuale di voti ottenuta a dirci di più sul sostegno reale del paese al suo leader non proprio “indiscusso”. Importante anche, dopo l’appoggio ad Hamas e la spregiudicata politica sociale e morale dell’Iran, verificare a che punto si trovi al suo interno la nazione che perseguita le donne. Mentre in aprile protagonista sarà il voto dell’India, paese di 1,4 miliardi ancora incerto tra sacche di miseria e tecnologie d’assalto. l’Occidente vede in Modi il presidente d’un paese “contrappeso” alla Cina, ma ne siamo davvero sicuri? Non del tutto. Entro febbraio conosceremo l’esito del voto di due giganti: il Pakistan e l’Indonesia. Anche l’Africa parlerà attraverso le urne e sappiamo quanto l’Italia sia interessata a come si esprimerà. Mentre citiamo nazioni e date a bocce ferme, fingiamo di ignorare che stiamo disquisendo d’un futuro prossimo che potrebbe portarci ad una rivoluzione a noi ignota. L’Occidente ha perduto la sua forza trainante, nazioni giovani e alleanze inedite avanzano alla luce del nostro tramonto. Attendiamo di conoscere il nostro posto nello scacchiere mondiale.
Adina Agugiaro